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Po in secca e archeologia della plastica. In mostra i rifiuti del fiume

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archeologia della plastica umberto battini

Non solo i fossili. La perdurante ed estrema magra del Po ha portato alla luce anche l’archeologia della plastica: rifiuti vecchi di mezzo secolo che da lunedì 8 maggio diventeranno una mostra. Sarà allestita a Calendasco (Piacenza), sotto il portico dell’antico Hospitale nel quale sostavano i pellegrini che percorrevano la Via Francigena. Proseguirà fino a sabato 13, con ingresso libero.

L’idea è di Umberto Battini, egli stesso di Calendasco. E’ uno studioso di storia locale ed un grande appassionato del Po e della terra che gli sta intorno. Ha raccolto personalmente gran parte della plastica d’annata. “E’ evidente che si tratta di roba vecchia – illustra – E’ scolorita, rovinata e il fiume ha avuto il tempo di lasciare la sua tipica patina verdognola o nerastra”.

Un’antologia dei pezzi che verranno esposti è nella foto di copertina e nelle due gallerie qui sotto. Clic su ogni immagine per vederla ingrandita.

Il titolo scelto per la mostra è “Il Po, Antropocene – Archeologia di Plastica”. Il termine “Antropocene” indica i decenni a partire dal 1950 circa, durante i quali è stato l’uomo, e non più le forze geologiche, a modellare e modificare la faccia della Terra.

Ma Battini avrebbe anche potuto usare il vocabolo “Plasticocene”. La plastica è infatti uno dei grandi segni del più recente impatto umano. Devono trascorrere millenni prima che si degradi e la si trova letteralmente ovunque. E’ così pervasiva che gli scienziati l’hanno individuata, ebbene sì, perfino nelle rocce, fusa dal calore vulcanico insieme a sedimenti.

I rifiuti di plastica che le acque del Po in ritirata hanno reso evidenti sui sabbioni e nelle lagune basse costituiscono uno specchio del come eravamo. Gadget dei mondiali di calcio “Italia 90”, giocattoli che hanno attraversato molti decenni, confezioni di prodotti non più in commercio… Qui sotto altri esempi.

 

Per certi versi, l’idea di Battini è una versione fluviale di Archeoplastica, il museo virtuale dei più vecchi oggetti di plastica che il mare ha depositato sulle spiagge italiane. In effetti, l’idea della plastica dispersa nell’ambiente viene quasi automaticamente – ma a torto – associata innanzitutto al mare, nel quale ogni anno finiscono otto milioni di tonnellate di plastica: 229 mila tonnellate nel solo Mediterraneo.

Però, anche se ci si pensa di rado, la plastica arriva in mare soprattutto attraverso i fiumi. Certo, c’è sempre qualche scriteriato che lascia immondizie in spiaggia o che le butta da una barca. E ci sono le reti fantasma: quelle abbandonate o perse dai pescherecci, che continuano (e continueranno) ad intrappolare ed uccidere le creature marine.

Tuttavia si calcola che l’80% della plastica in mare sia portata da fiumi. Del resto, è ovvio: se si lasciano in giro i rifiuti, prima o poi la pioggia li trascina in un fosso, che finisce in un fiume che a sua volta sbocca in mare. E anche il Po, ovviamente, fa la sua parte.

Tutte le foto sono di Umberto Battini