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Archeologia delle acque: Quando il fiume è deposito di storia

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di Luigi Griva

In epoche nelle quali le vie d’acqua avevano maggiore importanza di quella che rivestono ai nostri giorni, il Po si poneva come crocevia commerciale e limes politico, punto di incontro – e scontro – di culture e di interessi contrastanti. Fattore geografico determinante per tutta la regione cui dà il nome, la Padania, il grande fiume ha partecipato alle vicende umane  sin dalla comparsa delle prime comunità, e le ha condizionate. L’ambiente umido, per le forti attrattive che esercita su animali e pesci, è un serbatoio molto ricco di carni commestibili, di alberi, canne ed erbe palustri adatte per la fabbricazione di capanne, nasse e reti per la pesca .

I siti archeologici posti lungo il Po non sono tuttavia così numerosi come quelli evidenziati  lungo gli affluenti, o sulle sponde dei laghi. Questo perché, nel suo continuo evolvere e mutare di percorso, il Po ha sepolto vestigia di attracchi fluviali, pali di fondazione e materiali di costruzione e rivestimento di ponti,  villaggi costieri.

Solo per caso sono avvenuti in passato rinvenimenti di una certa importanza, come nel 1700 il centro siderurgico e mercantile di Industria, in Piemonte, con il relativo attracco fluviale o – dopo la seconda Guerra Mondiale – l’insediamento etrusco di Spina, nel Ferrarese .

Più numerosi sano stati invece i rinvenimenti navali , soprattutto negli alvei degli affluenti: piroghe monossili, imbarcazioni  plurime come  pontoni o molini natanti  – identificati grazie alle macine ed alle catene conservate in alveo – battelli  usati per il piccolo cabotaggio lungo l’asta.

Le più antiche imbarcazioni ritrovate risalgono alla cultura di Polada, agli inizi dell’Era del Bronzo. La piroga è ancora attuale quando nella pianura giunge la colonizzazione romana.

La penetrazione militare nella pianura padana avviene attraverso direttrici terrestri, poi consolidate in vie consolari, o scavalcando gli Appennini, come deviazione della via Aemilia Scauria, la continuazione a nord dell’Aurelia, o da Bonomia e Placentia, verso Augusta Taurinorum e il Monginevro, la via delle Gallie .

In entrambi i casi, il Po viene  scavalcato con ponti di legno – nella parte a monte, dove il regime è ancora torrentizio – traghetti, e solo molto più tardi – in epoca imperiale – con manufatti in muratura lungo le vie  consolari. I ponti di barche sono esclusivamente usati per operazioni  militari, limitate nel tempo .

L’unificazione politica della pianura padana in epoca romana favorisce  lo sviluppo di città come Torino, Valenza, Pavia, Piacenza, Crema, Ostiglia. Il Po diventa un’arteria commerciale importante  sulle cui rive e in prossimità degli attracchi e delle intersezioni viarie, segnate dalla presenza dei  traghetti, si muove freneticamente una folla di carrettieri, conducenti di zattere, battellieri, scaricatori, mulattieri .

Ci sono anche maestri d’ascia e calafati, armatori – patrones – e marinai, cacciatori e piscatores, ad un tempo pescatori e mercanti  ambulanti, che mantengono vivo il pesce in appositi ripostigli della barca, adattati a vivaio .

Di un’altra importante attività sul Po, quella  dei molini natanti, l’archeologia fluviale ha cominciato a documentare la presenza con rinvenimenti di catene (per gli attracchi) e macine . Palificazioni in alveo – ficche – formavano sbarramenti atti a convogliare  la corrente del fiume, e quindi l’energia motrice, alle pale degli  impianti molitori .

Dal’Adriatico risalivano il fiume  lungo le alzaie  convogli di barche trainate da buoi o cavalli , con carichi di  sale e conserve di pesce, metalli lavorati e lingotti. Un esempio di questi traffici ci è offerto dai reperti  ritrovati sul relitto di Valle Ponti, presso Ferrara, nel 1981. Il carico, una volta liberato dalla fanghiglia con gli idranti, ha rivelato la presenza di lingotti di piombo di provenienza spagnola, anfore  di Rodi e istriane che originariamente contenevano olio e vino; persino dei tempietti di stagno, raffiguranti divinità della mitologia greca. Addirittura marmi lavorati e semilavorati, secondo altri  rinvenimenti.

Le barche, a fondo piatto, adatte alla navigazione interna, ridiscendono poi, cariche dei prodotti  della pastorizia e della silvicoltura delle valli interne: pelli conciate, tavole di legno, pece navale, formaggi, granaglie, vino.

Rinvenimenti di anfore e horrea, magazzini di smistamento, inducono a pensare una rete di distribuzione delle merci, con  diramazioni  lungo gli affluenti, secondo uno schema “a lisca di pesce”.

Dati che concorrono  a formare una mappa archeologica del fiume in continuo aggiornamento.

Luigi Griva (1939) – Tecnico Archeologo Subacqueo, ha collaborato dal 1977 con il dr. Luigi Fozzati alla Missione di Viverone della Soprint. Arch. del Piemonte, e ad altre in mare e nelle acque interne  (Bolsena, Tharros, Bertignano, fiume Sesia, fiume Oglio, Peschiera del Garda). Ricercatore d’Archivio e  giornalista free-lance, ha pubblicato articoli su Studi Piemontesi, Studi Veneziani,  Archeologia Viva, Tuttoscienze de La Stampa, Piemonte Parchi. Socio fondatore dell’ ISTIAEN (Istituto Italiano di Archeologia ed Etnologia Navale di Venezia), è membro dell’AIDMEN (Associazione  Italiana di Documentazione Marittima e Navale), Conservatore del Civico Museo Navale di Carmagnola (TO) e socio di Ca’ de Studi Piemontèis – Centro Studi Piemontesi.