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Colpevoli di calamità naturali

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di Paola Bonora

Il territorio frana, si allaga, degrada e le politiche pubbliche latitano – o se intervengono generano ancor più disastri quando, con metodica sistematicità, sconfinano nell’illegale. Un panorama dolente quello italiano, bersagliato da eventi calamitosi di ripetitività e incidenza eccezionale, portatori di lutti, danni, miliardari esborsi emergenziali. Etichettati come “naturali” e perciò fatalisticamente ascritti all’infausto destino di una geomorfologia fragile e di un regime climatico in mutamento. Catastrofi che una maggiore attenzione agli equilibri ecosistemici e alla prevenzione potrebbe nella maggior parte dei casi evitare o almeno contenere. Un dato, abnorme pur nella singolarità della nostra configurazione orografica, è in grado di testimoniare lo stato di degrado: su 700mila frane censite in Europa ben 500mila si sono verificate nel nostro paese. Aggiungo che solo nel decennio 2002-2012 si sono verificati 380 episodi alluvionali e franosi gravi, con 290 morti e un coinvolgimento di feriti e sfollati che, comprendendo anche gli eventi minori, sale a 23mila persone. Non credo sia necessario commentare.

Da decenni il territorio viene coperto di cemento e asfalto (il doppio della media europea di suolo consumato) e la manutenzione del reticolo idrografico ignorata. Il combinato di impermeabilizzazione, dunque mancato assorbimento delle acque corrive, e cattivo deflusso nei fossati che proteggono i campi dal dilavamento o dai ristagni, ostruiti da sedimenti e vegetazione spontanea, porta a smottamenti, esondazioni, allagamenti. Così mentre le acque cancellano le campiture, erodono i terreni e portano a un disordine che sui pendii è preludio di frane e in pianura di tracimazioni, i fiumi non più dragati corrono soprelevati sul piano di campagna, incanalati in argini sempre più alti e pericolosi responsabili delle alluvioni. Si preferisce però gridare alle “bombe d’acqua” o con sprezzo del ridicolo, prendersela con le nutrie invece di indagare sulle responsabilità politiche e riflettere su un modello di sviluppo che sull’abuso del territorio ha il proprio fondamento.