
Non c’è acqua, la siccità è epocale e più voci invocano e propongono i dissalatori. Ma gli impianti che rendono potabile l’acqua del mare non sono una buona idea per risolvere i problemi di approvvigionamento idrico nel bacino del Po ed in Italia.
Non a caso la generalità dei dissalatori si trova su piccole isole oppure in località desertiche o semi desertiche: e l’Italia, sebbene ora asseta, non lo è.
L’eccezione alla regola è rappresentata dagli impianti provvisori d’emergenza, che in questo momento possono rivelarsi indispensabili per gli acquedotti alimentati dall’ultimo tratto del Po, come quello di Ferrara. Infatti il fiume è così malmesso che il cuneo salino lo risale addirittura per 31 chilometri: mai accaduto prima. Un dissalatore temporaneo è già stato installato a Taglio di Po.
Però i dissalatori non sono adatti a diventare, in questi luoghi, una soluzione in pianta stabile e a lungo termine, dato che inquinano, consumano energia – che ora è scarsa e costosa – e producono acqua decisamente cara.
L’inquinamento è dato dal fatto che, per ogni metro cubo di acqua resa potabile, i dissalatori producono quasi 1,5 metri cubi di acqua di scarto salatissima, che contiene anche cloro, rame e altre sostanze usate nel processo di potabilizzazione. La quantità è tale che non si può stoccare questo liquido da qualche parte. Viene perciò buttato in mare, dove danneggia gli animali e le catene alimentari.
Per il consumo di energia, si possono prendere come punti di riferimento i dissalatori – e non si tratta certo di ferrivecchi – in funzione a Singapore ed in Spagna. Rispettivamente, richiedono 3,5 e 2,5-3 Kwh per ogni metro cubo di acqua resa potabile. Sembra poca cosa, ma bisogna moltiplicare la cifra per i 120 metri cubi d’acqua consumati in un anno dalla famiglia italiana media formata da due persone (60 metri cubi a testa), nonché per i milioni di famiglie che verrebbero rifornite se mai i dissalatori prendessero piede.
Praticamente, il maggior consumo di energia per una famiglia di due persone sarebbe pari a 300-420 Kwh all’anno: come se in ogni casa entrasse un frigorifero o un condizionatore in più.
E se anche un domani o un dopodomani l’energia elettrica tornasse ad essere abbondante e a buon mercato (ma tornerà mai ad esserlo?), resta il fatto che essa – ora e nel prevedibile futuro prossimo – è in gran parte di origine fossile. La produzione causa emissioni di anidride carbonica, il gas del riscaldamento globale al quale è imputata la maggior frequenza dei fenomeni meteo estremi come la siccità persistente che fa agonizzare il Po. Un circolo vizioso, insomma, nel quale la presunta soluzione aggrava il male.
Infine, i costi. Secondo un rapporto che la società di consulenza Althesys ha redatto in giugno, l’acqua resa potabile dai dissalatori italiani (operano stabilmente solo sulle piccole isole) costa 2-3 euro al metro cubo. L’acqua dissalata più a buon mercato è stata prodotta nel 2020: 1,5 dollari al metro cubo, tenendo conto di investimento, gestione ed energia elettrica. Al cambio attuale si può praticamente considerare la medesima cifra in euro.
Però nel 2020 – l’anno dei lockdown per il Covid – l’energia che concorre a formare il prezzo dell’acqua dissalata costava molto poco. E’ aumentata follemente a partire dal 2021 e nulla, per ora, consente di sperare che i continui rincari cessino.
E’ conveniente l’acqua dissalata? Si può tentare un confronto con la tariffa dell’acqua inserita nelle bollette, isolandola dalle altre voci che le compongono e che le fanno lievitare.
Il costo dell’acqua varia enormemente da zona a zona, in relazione agli impianti e alla qualità. Secondo il portale informap-cittadinanzattiva, a Ferrara – una città in cui l’acqua è cara – il costo in bolletta di un metro cubo è pari a 1,19 euro per il consumo annuo pro capite inferiore a 84 metri cubi; e 1,48 euro per il consumo compreso fra gli 85 e i 132 metri cubi. Milano offre le tariffe più basse d’Italia: appena 0,12 euro al metro cubo per il consumo annuo inferiore ai 33 metri cubi pro capite; 0,15 centesimi per il consumo compreso fra i 34 e i 76 metri cubi. Per fare un altro esempio, a Rovigo il costo dell’acqua è pari a 0,53 euro al metro cubo per il consumo annuo inferiore ai 65 metri cubi pro capite e a 0,82 euro per l’eventuale quota compresa fra i 66 e i 120 metri cubi.
Sono tutte cifre inferiori – o anche di gran lunga inferiori – a quegli 1,5 dollari (o euro) al metro cubo che rappresentano il record mondiale di minor costo dell’acqua dissalata: un record, oltretutto, ottenuto quando l’energia impiegata per la dissalazione, vista dalla prospettiva di oggi, era venduta al prezzo delle patate.