Home Acqua e Territorio Gli squali del Lago di Garda: i nostri biologi risolvono il mistero

Gli squali del Lago di Garda: i nostri biologi risolvono il mistero

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di Francesco Nigro e Luca Parisi, biologi

Sembra lo scenario di un film horror di serie b, eppure recente è la notizia di uno squalo di 200 chili pescato nottetempo nelle acque del lago da un pescatore locale, ma come la stessa testata bresciana riporta in fondo alla pagina, ovviamente si tratta di un pesce d’aprile, di una notizia non vera. BsNews.it ha pubblicato questa notizia-scherzo nel giorno del primo aprile.

“Non esistono squali nel Lago di Garda”, appare una considerazione ragionevole, eppure tanto è stato il clamore a seguito della notizia, e la presenza di un mostro lacustre, una leggenda che non dovrebbe superare le mura di qualche scuola d’infanzia, appare radicata lungo sponde gardesane. Lo confermano i diversi avvistamenti  che puntualmente compaiono tra le righe dei giornali e nei notiziari locali.

Che il lago nasconda qualcosa di misterioso è insito nella sua natura e non mancano le segnalazioni di creature enormi, sagome nella nebbia, ombre viste dai sub, tutte riconducibili ad una creatura nota come “Bennie” (da Benaco) e farcita di tutti i cliché tipici di un mostro di lago. Ma nello specifico, se si parla  di squali lacustri, esiste qualcosa di documentato?

Ecco che in una pubblicazione  sulla pesca in acque interne (ACAR novembre 2009) dell’Archivio Storico del Comune di Arco, comune trentino che si affaccia sulla sponda settentrionale del lago, troviamo uno proclama comunale del 1689 che stabilisce i prezzi del pescato e sebbene l’occhio si adegui malamente alla scrittura, cade velocemente sulla didascalia che riporta quanto segue: “sono stabiliti i prezzi dei cavedoni, (…) dei barbi e degli squali!” In effetti fra le righe  del documento campeggiano le parole; “li Barbi e gli squalli locali”. Squali locali? Ebbene sì, e a quanto pare almeno fino all’Ottocento abbondavano nelle acque del  Nord-Italia, tanto da comparire in altri scritti e attirare addirittura l’attenzione della Commissione di Sanità, che si sarebbe espressa in modo assai deciso vietando sia le interiora di barbi che quelle degli squali, colpevoli di nuocere alla salute dei consumatori (Raccolta delle leggi e disposizioni di pubblica amministrazione nello stato Pontificio dal primo gennaio al 31 dicembre 1834, Volume 1).

Il proclama comunale
Il proclama comunale

Siamo dunque alla ricerca di un animale velenoso? O è stata solo l’abitudine continua ad associarlo al barbo per la sua ecologia e magari anche per la consumazione, a renderlo oggetto di questo curioso divieto?

In fondo all’annoso volume La “Singolare Dottrina” di M. Domenico Romoli troviamo come da evitarsi solo i barbi nel loro periodo riproduttivo, pur citando gli squali come abituali nel pescato. In effetti le gonadi e le uova (dei barbi) sono velenosi, un ottimo adattamento e difesa contro i predatori in un ambiente complesso come quello fluviale e lacustre. Forse per chi conosce il dialetto veneto il mistero era chiaro fin dal principio: i mirabili “squali!” altro non sono che semplici cavedani, che anche nel dialetto trentino venivano talvolta citati come “squàli” o “squalèti”. Interessante notare come la dicitura “squalo” sia tipica del centro Italia, ed in particolare del Lazio, dove con questo nome vengono generalmente (identificati) i grossi cavedani. (A questo riguardo) il documento di Arco ha tratto in inganno proprio perché oltre agli “squali” cita i “cavedoni”. Va ricordato che  un tempo la taglia del pesce determinava direttamente il suo nome, come accade oggigiorno con i diversi stadi vitali dell’anguilla e dell’agone.

Non ultimo e non a caso il nome scientifico del cavedano, un tempo Leuciscus cephalus, è oggi proprio Squalius squalo, il cavedano italico, per differenziarlo dal parente europeo Squalius cephalus. Dopo attente analisi genetiche ed una corsa alla sistematica su base molecolare, dalla stessa specie sono state isolate due specie distinte, sostanzialmente uguali ed appartenenti ad un altro genere rispetto ai leucischi.

Animali instancabili e attenti pattugliatori delle rive, con la caratteristica pinnatura nera spiegata e sempre in cerca di “fantasiose” soluzioni alimentari, i nostri “squaletti” rimangono quello che sono,  dei comunissimi ciprinidi reofili, come i barbi, dei semplici pesci di fiume e lago, a volte anche di dimensioni interessanti, superando il mezzo metro e raggiungendo taglie decisamente consistenti  specialmente nei laghi dove le risorse trofiche sono maggiori e i vantaggi ecologici di una maggiore mole indubbi.

Ubiquitari e amanti di fondali misti, sono comuni in acque relativamente ossigenate ed ovunque vi sia un collegamento con rii, torrenti e corsi atti alla loro riproduzione. Lasciamo dunque il lago ed i suoi innocui “squali” senza aver svelato alcun mistero né dissolta alcuna ombra sul suo fantomatico mostro Bennie, che popolerà ancora a lungo le acque e le leggende del più grande lago italiano.