
di Stefano Rotta
Ho passato molto tempo a Gorino, dove finisce il fiume Po e comincia il mare Adriatico, e una risicata popolazione di pescatori e vongolari si ostina a vivere in una striscia di terra tra acqua dolce e salata. Mai come in quei posti lontani da tutto mi sono sentito accolto. E’ quasi naturale che gente isolata, e solitaria, senta il bisogno che qualcosa cambi, che qualcuno arrivi, che ci sia contatto, osmosi, tra le persone. Ma come in tutto c’è modo e modo, e proprio chi ha molto da dare, tende ad arroccarsi se si sente preso in giro.
Proprio per come questa gente senza pregiudizi mi ha trattato e accolto, quindi per pura esperienza diretta, sento il bisogno di difenderli e provare a spezzare, come si dice, una lancia in loro favore.
La barricata è un segnale rozzo e diretto di un malessere diffuso e profondo, l’idea che qualcuno faccia business con la tratta di esseri umani, unita all’idea che vi sia qualcuno che paga e fatica per abitare un territorio, e qualcun’altro per cui tutto è dovuto. Non è di per sé giusta o sbagliata, è indicativa di qualcosa che altrove è accettato e qui, dove il senso di comunità è ancora fortissimo, vitale, proprio no.
Non credo vi sia razzismo, dietro la barricata. Credo vi sia un’idea di identità che noi italiani abbiamo in gran parte perso, e cioè: «Vuoi star qui? Allora devi essere come noi, faticare con noi, combattere con noi». E’ tipico delle comunità sane, che non vivono di contributi ma di lavoro. Qui in fondo al fiume esiste ancora gente vera, che come tale va presa. Io non dimentico di quando, trovatomi solo, sono stato aiutato. La mia piccola barchetta era andata a picco e un pescatore, Nicola, perse un’intera giornata per andare a recuperarla. E poi un’altra notte in cui, tra i canali, un barcaiolo, in segno di amicizia, mi offrì al posto del caffè un grosso cefalo appena pescato. «Ma non posso mangiarlo tutto, è enorme», gli dissi. E lui: «Allora portalo a casa». L’accoglienza ha i suoi riti e la sua grammatica. Se vengono meno, scatta nelle comunità la paura ancestrale, difensiva, dell’invasione dal mare, di cui l’Italia per millenni è stata soggetta.