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La carpa, regina dei fiumi

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di Francesco Nigro

La carpa, Cyprinus carpio, è sicuramente uno dei pesci più noti che popolano i nostri corsi d’acqua. Comunemente conosciuta anche con i termini “gobba” o “raina” (regina), questa specie è presente nelle nostre acque da tempi storici, con le prime introduzioni probabilmente dall’Asia in Europa ed un probabile contributo romano alla loro diffusione nell’Europa meridionale già largamente documentata a partire dal 1300.
Per convenzione, essendo stata introdotta prima della scoperta dell’America, andrebbe considerata come forma autoctona, e date le sue grandi capacità di adattamento, la forte espansione e l’importante ricaduta sociale ed economica sarebbe piuttosto cieco clessificarla diversamente, ma per quanto riguarda l’Italia sembra non si abbiano dati precisi relativi alle prime introduzioni e osservazioni che si suppone siano antecedenti al diciottesimo secolo.
Rimane il dato di fatto: questo animale ormai cosmopolita è acclimatato nel dinamico panorama delle nostre acque da secoli. Tuttavia la carpa non manca di essere considerata dannosa per le specie più sensibili e in genere per il corretto equilibrio e rinaturalizzazione degli idrosistemi acquatici.
Il danno maggiore sarebbe indiretto, andando a colpire gli habitat rimescolandone i fondali spezzando radici e in genere danneggiando la componente vegetazionale, rovinando così zone atte alla deposizione e impedendo la conservazione e rigenerazione di microhabitat sensibili.
Aggiungiamo alle considerazioni scientifiche e naturalistiche di natura gestionale-conservazionistica e alle ipotesi di piani di contenimento, l’indubbio interesse alimentare di questo pesce povero, preda di “pescatori dalla licenza facile” e bracconieri, e si avrà la ricetta perfetta per indignare centinaia di pescatori sportivi, convinti amatori e fruitori di un reticolo idrografico che sicuramente è cambiato e continua a cambiare in termini di popolamenti ittici.
Purtroppo quella che è una misura difensiva evolutasi nei millenni, le spine delle pinne dorsali sono armate di dentelli, si trasforma in una delle condizioni più limitanti per questi piccoli colossi d’acqua dolce, facili prede imprigionate in reti semplici e tramagli. Contrariamente a quanto si può infatti credere è la carpa, e non il siluro, a diventare per caratteristiche comportamentali, ecologiche ma anche anatomiche, una delle principali vittime della pesca professionale o delle battute illegali.

Ma come è fatta una carpa? Che dimensioni raggiunge e dove vive?

Si tratta di un ciprinide limnofilo di grandi dimensioni, letteralmente amante degli ambienti fangosi, del basso corso dei fiumi, delle acque a corso lento e stagnanti. E’ rinvenibile dalla prima fascia pedecollinare fino alle zone salmastre. Il corpo è robusto, compresso lateralmente e con una gibbosità dorsale sovrastata da una lunga e bassa pinna dorsale. Dimensioni e morfologia possono variare in modo evidente anche in relazione all’ambiente di sviluppo. Tipicamente i corsi d’acqua ospitano esemplari più fusiformi rispetto a quelli che si osservano in ambienti chiusi e bacini da pesca, dove le proporzioni tendono ad essere più tozze e la gibbosità dorsale accentuata. Due paia di barbigli fungono da “sonde sensoriali” che circondano un apparato boccale protrattile privo di denti. La mancanza di denti è sopperita dalla presenza di denti faringei, vere e proprie mole in grado di macinare quanto aspirato. L’alimentazione degli adulti è a base di organismi acquatici dalle ridotte dimensioni e capacità motorie: vermi, larve, gasteropodi, bivalvi ed invertebrati in genere, scovati filtrando e rovistando fra i sedimenti. Come è tipico per i ciprinidi si tratta di una specie onnivora e opportunista che non rinuncia ad un pasto a base di ovature di pesci o di anfibi, piccoli avannotti o girini ed in genere alle risorse alimentari di facile accesso, con una insistenza limitata sulla componente vegetale.
Differenti aspetti e livree diffuse nei nostri bacini potrebbero far pensare a diverse specie, tuttavia anche la più colorata delle carpe koi altro non è che un Cyprinus carpio, la stessa specie che generalmente appare di colore bruno-bronzeo nella forma selvatica.
Differenze nella disposizione delle scaglie possono essere particolarmente evidenti e curiose discostandosi dal classico aspetto della carpa regina, con esemplari noti come carpe a specchi, caratterizzati da file di scaglie iridescenti di dimensioni anomale, oppure esemplari praticamente “nudi”, perlopiù privi di scaglie, comunemente chiamati carpe cuoio, tutte variabilità fenotipiche che insieme a possibili pinne a velo e colori sgargianti rientrano nell’ampio spettro potenziale delle carpe, già allevate in Cina a partire dal V secolo per scopi ornamentali.
Si tratta di una specie gregaria dove le dimensioni giocano un ruolo fondamentale anche nella difesa contro i predatori nei difficili ecosistemi acquatici. Esemplari eccezionali possono superare il metro e i 30 kg di peso, ma nella media la lunghezza degli adulti si aggira sui 50 cm; con un peso di 2/3 kg. Anche date le dimensioni ragguardevoli, si tratta di una specie di notevole interesse economico nel settore dell’allevamento. I maggiori allevamenti sono concentrati nell’est Europa ed in Francia. Un tempo era comunemente utilizzata localmente nella nostra pianura, per scopi alimentari, pur restando un pesce povero e scarsamente apprezzato anche per il sapore difficile delle sue carni. Diverse le risaie e le valli in cui vennero seminati ed allevati questi ciprinidi, tuttavia questa rimase prevalentemente un’attività di allevamento/pesca secondaria, diversamente a quanto avvenne per il parente pesce rosso, il carassio.
Da noi le vasche di allevamento ospitano sempre più esemplari destinati al mondo della pesca sportiva e si evidenzia una moda per gli ornamentali.
Dalla pesca con l’arco all’alloctono negli Stati Uniti, alle scatolette in Romania, fino all’approccio del carp-fishing che sposa e lancia la filosofia del “catch and release”, questo grosso pesce è uno dei protagonisti del fiume e non manca di fare parlare di sé.