
di Luigi Griva
All’interno dell’ingresso della Madonna del Pilone, una antica chiesa di Torino, posta a valle del nucleo storico della città, sulla riva destra del Po, si conserva uno degli ex-voto più significativi – anche per dimensioni – per la testimonianza dell’antico mestiere dei molinari dei molini natanti.
La presenza di molini natanti nel territorio comunale di Torino è documentata sin dal 1474.
Gli impianti più importanti sembrerebbero, dagli Ordinati della Città, quelli “delle Catene”, il sobborgo fluviale oggi conosciuto col nome della Madonna del Pilone, nominati in un rescritto della duchessa Violante di Savoia, e quelli in prossimità dell’unico ponte sul Po, allora in travi di legno, citati dal 1488.
Altri impianti erano quelli delle Mischie”, verso Sassi, quelli a monte, sul confine di Cavoretto, e i molini “della Rocca”, gli ultimi ad essere soppressi, alla fine dell’ottocento. Importanti per le finanze sabaude (che ne traevano una tassa sulla moltura), sono via via scomparsi, soppiantati da tecniche di macinazione più evolute, e dalla necessità di lasciare il libero corso alla navigazione lungo l’asta fluviale.
Al mulino natante “delle Catene” appartenente al mugnaio Giovanni Corbella, attivo verso la metà del 1600, è legato il ricordo di un fatto prodigioso: il miracolo della Madonna del Pilone.
Il pilone votivo, che dà il nome al toponimo, era stato costruito nel 1587 in quel sobborgo, abitato da navaroli, pescatori carrettieri e molinari, ed ara dedicato alla Annunciazione della Vergine; l’immagine della Madonna e dell’Angelo era rivolta verso il fiume, allora più frequentato della strada reale di Casale che attraversava il borgo .
Margherita Mollar, una ragazzina di undici anni, figlia di un artigiano calzolaio con bottega in centro città, accompagna il 29 aprile 1644 la matrigna a questo mulino, situato oltre Po. A quei tempi è consuetudine farsi macinare la farina per uso di casa, portando le granaglie al molino e il molinaro trattiene per suo compenso una frazione del macinato. Probabilmente sono giunte con una carriola, perché il sacco del grano è pesante. Da contrada Nuova, nei pressi del Castello, sono scese lungo la via di Po, la “strada della calcina “, così chiamata perché segnata dal passaggio dei carri che riforniscono la città dei materiali da costruzione.
Allora la via di Po non è ancora abbellita dai portici, hanno attraversato il vecchio ponte, raggiungendo il borgo di Po, poi hanno svoltato a sinistra, scendendo lungo il fiume, verso il borgo del Pilone.
Margheritin, giunta ai molini, approfitta della distrazione della matrigna, occupata con il garzone del Corbella a scaricare il sacco, per farsi un giro intorno. Le ruote, mosse dalla corrente, girano emettendo cigolii e un asse porta il moto – con un meccanismo -alle macine, ospitate in uno dei due casotti galleggianti, che costituiscono il molino. L’altro funge da abitazione per il molinaro .
Il giro delle ruote incuriosisce Margheritin, che si spinge pericolosamente sulla predella di servizio. Corbella sta vuotando il contenuto del sacco nella tramoggia, quando sente un grido: la bambina è stata ghermita dalle pale e spinta nella corrente! Mentre il garzone salta sul burcé, la barca di servizio, la matrigna corre verso il pilone, si inginocchia e si raccomanda alla Vergine: “Salvamela, ti prego…”
Le acque del disgelo gonfiano il fiume; il garzone voga con maestria, portandosi verso il pilone centrale, dove la corrente ha spinto la bambina. Finalmente, dopo interminabili minuti, Margheritin riemerge, come sollevata da una mano invisibile, e il ragazzo è pronto ad afferrarla saldamente, e a metterla in salvo nella barca. Quindi la consegna agli astanti, stupefatti .
La notizia del prodigio si diffonde rapidamente e dal borgo di Po arriva in città ; il pilone diventa rapidamente oggetto di devozione. Già l’anno seguente viene costruita una cappella, poi, per munificenza della regina Maria Cristina e del cognato, il principe Maurizio, viene edificato l’attuale santuario, l’altare ingloba l’antico pilone, con l’immagine dell’angelo che porta a Maria la scelta di Dio su di lei.
I Molini delle Catene continuarono a funzionare ancora per oltre un secolo, sostituendo negli anni gli scafi, e le macchine logorate dal lavoro e dall’acqua. Nel 1779 vennero interrati. Più tardi, nell’ottocento, venne tagliato, nella sponda destra del fiume, dopo il ponte in muratura che aveva sostituito il malandato ponte medievale, l’incile del canale Michelotti per l’alimentazione dell’impianto. Lo scavo, ormai inutilizzato, venne riempito dopo la seconda guerra mondiale con le macerie causate dai bombardamenti alleati su Torino.
A ricordarci il miracolo dei molini natanti è rimasto, all’interno del Santuario, il grande ex-voto, un affresco dai tratti ingenui, ma anche una testimonianza assolutamente realistica della vita sul Po nel 1600.