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Mulini e mugnai di Mezzi Po – Storia del Po

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Il porto natante di Mezzi Po all'inizio del XX secolo

di Silvio Bertotto*

Se si guarda a Mezzi Po, piccola borgata sulla sinistra orografica del grande fiume, fra Settimo Torinese e Brandizzo, bisogna ammettere che non aveva torto l’emiliano Giovannino Guareschi quando scriveva, nell’ormai lontano 1948, che la storia è «in funzione della geografia»: «basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granoturco e alla canapa, e subito nasce una storia». Come non riconoscere che le vicende dei Mezzi furono, un tempo, nel bene e nel male, intimamente legate al Po, motivo di paure e disagi in occasione delle piene periodiche, ma anche preziosa fonte di sussistenza per la quasi totalità dei borghigiani?

Il Po, in particolare, garantiva la forza motrice ai battitori per la canapa e ai mulini natanti. Un disegno realizzato da Michelangelo Garove nel 1686 riporta i mulini di Sambuy, Castiglione e Gassino. Fin dal Medioevo questi caratterizzavano il paesaggio, come si rileva anche da una bella miniatura del tardo Trecento in cui compare un mulino su imbarcazione, con tanto di ruota, nei pressi di Gassino. Si tratta dell’elemento che più balza agli occhi in tutta la zona, dopo i castelli e i borghi fortificati, quasi a volerne indicare l’importanza nella vita economica dell’epoca. Tutt’intorno guazzano pesci dalle dimensioni eccezionali, mentre una barca con un uomo a bordo risale la corrente.

La miniatura trecentesca è utile per comprendere come i mulini del Po fossero parte di un microcosmo ambientale e sociale, di un paesaggio in cui le strutture insediative e la circostante organizzazione dello spazio a fini agricoli interagivano e si compenetravano, fra teorie di alberi, vigneti e prati, quasi a costituire un piccolo mondo sospeso in una dimensione fuori della storia. La vita quotidiana appariva scandita dall’alternarsi delle stagioni, dai regimi di piena del Po e dai lavori nei campi.

Regolata da precisi ritmi era la vita del mugnaio che di solito abitava con la famiglia e gli eventuali garzoni in un modestissimo casotto a riva, non lontano dal mulino. «Sotto il piede del mugnaio – scrive Riccardo Bacchelli – il mulino vive, come la nave sotto il piede del marinaio. Egli intanto sostiene che per fare buon pane non si dà macinatura migliore e più gentile di cotesta di fiume». Il lavoro era impegnativo e faticoso, come Bacchelli fa dire a Subbia, il vecchio calafato del romanzo «Il mulino del Po»: «Le piene rompono le funi e mandano in traverso il mulino; i ghiacci, d’inverno, lo sfondano e lo schiacciano; vengono tempi da faticare notte e giorno, e qualche volta senza salvarsi».

La scelta del sito dove collocare i mulini era di fondamentale importanza e dipendeva dalle caratteristiche morfologiche del Po. In genere si preferivano i tratti a valle delle anse, dove esistevano strozzature naturali. Per dirigere e accelerare l’acqua a monte dei mulini, onde consentire il corretto movimento delle ruote, erano necessarie speciali opere idrauliche. Queste consistevano in una o più file di pali conficcati nell’alveo del fiume, trasversalmente alla corrente, con pietre di rinforzo, fascine di vimini e ramaglie. Per quanto ne sappiamo, la tecnica si mantenne pressoché inalterata dal Medioevo alla fine del diciannovesimo secolo.

I mulini dei Mezzi persero progressivamente d’importanza a partire dal periodo napoleonico, allorché entrò in funzione il Mulino Savio (poi Mulino Nuovo) di Settimo Torinese, lungo il corso inferiore del rio Freidano. Gli ultimi mulini galleggianti compaiono nell’edizione 1881 di una mappa edita dall’Istituto Geografico Militare.

* Silvio Bertotto, laureato a Torino in Scienze politiche, archivista, è autore di numerosi studi e di una trentina circa di libri sulla storia moderna e contemporanea del Piemonte, con particolare riguardo all’area torinese e canavesana. Fra gli altri: I campi e le ciminiere. Società, politica e lavoro in un Comune della cintura torinese. Settimo 1861-1946 (Allemandi, Torino 1995, vincitore del «Premio Baudi di Vesme» della Deputazione Subalpina di Storia Patria); Il ragazzo al fulmicotone. Guerrino Nicoli, una storia partigiana, Centro Studi Piemontesi, Torino 2005; «Una tribù straniera dal volto abbronzato» – Per una storia degli zingari nel Piemonte d’Antico Regime («Studi Chivassesi», 5, Chivasso 2014). Bertotto ha pure collaborato con l’Università di Torino (dipartimenti di Scienze Sociali, Studi Politici e Scienze Antropologiche).