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Ornella Fiorini, la voce del Grande Fiume: “Me a cant al Po”

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di Andrea Dal Cero – Foto di Vincenzo Bruno

Nevica. Anche se ieri era primavera, oggi dobbiamo fare attenzione alla strada e sbrinare i vetri per poter andare avanti, Pasquale e io, in questa ultima giornata d’inverno. Neve a Bologna, pioggia a Bondeno, timido sole ad Ostiglia.
Vincenzo Bruno ci aspetta sull’argine, vicino alla grande centrale che domina la cittadina e ne caratterizza il profilo sin dall’orizzonte. L’hanno costruita praticamente nel centro storico di Ostiglia, questa centrale termoelettrica che punta verso il cielo le sue incredibili ciminiere. Ci si ammala, prima era peggio, ci abbiamo fatto l’abitudine, dice la gente di qui.
Seguiamo l’argine per un buon tratto e troviamo proprio davanti al Grande Fiume la piccola casa-torre regno incontrastato di Ornella Fiorini: siamo qui per conoscerla, per ascoltare questa piccola donna diventata personaggio narrante della storia del fiume e della sua gente. Rigorosamente in dialetto mantovano.
Ornella ci abbraccia e ci fa sedere attorno al suo tavolo. Le stanze sono piccole in questa torre, ti avvolgono, ti contengono, ti proteggono. Su una poltrona in un angolo dormicchia Violetta, deliziosa meticcia di tre anni. Da una cornicetta poco distante ci guarda un carlino che oggi non c’è più: il cane che c’era prima di Violetta.
Ornella, seduta su una turca vicino alla finestra, si tiene la chitarra vicina. Spesso parlando ne accarezza le corde, se la prende sulle ginocchia, accenna un accordo: si fa una colonna sonora minima e personale della storia che sta raccontando. E’ un racconto tutto in dialetto stretto, un susseguirsi di eventi in vernacolo ricco di rodomontate e scelte inevitabili. Lei è serena, quasi divertita delle cose che le sono successe da quando era piccola a ieri sera.
ornella fioriniE’ una storia strana e avventurosa, quella di Ornella. A tratti dolente, ma sempre rivissuta con un sorriso. Una storia che non capita a tutti, una tempesta in un catino d’acqua, una rivoluzione continua che dura tutt’ora in un’inquietudine sentimentale e culturale come ne ho incontrate poche.
Parlando di sé si orienta nel tempo con brani composti in anni lontani, con disegni e schizzi che le aizzano la memoria. Non parla dei tanti quadri venduti, non si serve delle montagne di ritagli stampa su di lei, snobba completamente una parete di targhe ricevute chissà dove e chissà da chi che dormono impilate dentro le loro eleganti custodie.
E’ un fiume che scorre, l’Ornella. Non è in piena ma la corrente è forte. Sempre in dialetto.
Ma tu parli anche l’italiano?” Le chiedo più per bisogno che per curiosità. E lei cambia registro ma mi spiega che in italiano i suoi sentimenti viaggiano più lentamente e anche le idee le piacciono meno.
Me a cant al Po in dialet anca in Norvegia e in Giappone e nisciun al ma dit nient” dice lei sorridendo e io non so come si scrive. “Mo me al Po al cant que e lo vedo dalla finestra ogni mattina”.
La finestra di Ornella, non quella più alta al piano di sopra della torre, ma quella della stanza dove passa la maggior parte della giornata, merita un discorso a parte. E’ leggermente più bassa del piano dell’argine, quel tanto che basta per dare una prospettiva inusitata composta al 70% di cielo padano. Se ci si siede a tavola la percentuale di cielo cresce e il piano dell’argine corrisponde quasi con il piano dell’immagine. E così, magrittianamente, vedo passare un uomo a strisce fosforescenti in bicicletta tirato da un cane lupo, un bambino che insegue una palla, due donne che camminano ma sembrano su un tapis roulant.
Questa tua finestra è incredibile” le dico sorpreso. “Lo so – risponde lei tranquilla – è una finestra metafisica”.
Poi andiamo a pranzo in un posticino dove ci porta lei ed è una buona compagnia anche a tavola: tagliatelle, cappellacci e vino bianco non le fanno paura, ha un’osservazione per tutto, un commento per qualsiasi cosa. E’ piacevole stare con lei.
Non vi racconterò le cose che mi ha detto Ornella, non lo voglio fare perchè ce le ha raccontate con profonda complicità, grande semplicità e rigorosa onestà intellettuale. E poi questa non è un’intervista, ma una piccola storia di persone che si incontrano, si conoscono e si vogliono bene.
Cercate la storia di questa Calamity Jane del Po nelle sue canzoni. Ci troverete tutto.