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Siccità: una catastrofe annunciata

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La siccità estrema nel bacino del Po era annunciata da tempo. In marzo, perfino la Commissione Europea ha messo in guardia l’Italia. Tuttavia il motto è stato “Finché la barca va”.

Ora la barca si è arenata in un Po in secca come non mai da almeno settant’anni: nessun segno di sollievo all’orizzonte e problemi gravi per irrigare i campi, mentre alla foce l’acqua e il sale del mare risalgono il fiume addirittura per 35 chilometri. E’ il cosiddetto cuneo salino.

Può essere utile guardarsi indietro per rivedere i segni premonitori di una crisi così grave e gli autorevoli avvertimenti che le cose stavano mettendosi male davvero. Non che ormai si possa fare granché per rimediare, però in futuro, tenendo conto dei segnali di questo tipo, almeno si potrebbe adottare con calma una pianificazione ragionata in grado di evitare i provvedimenti emergenziali e le guerre per l’acqua ora in corso.

Già in gennaio e in febbraio erano evidenti a chiunque la siccità nell’Italia settentrionale e la grave secca del Po. Però la crisi era iniziata ancor prima. Come ha evidenziato la ricostruzione che il Centro Etica Ambiente di Parma e Reggio Emilia ha pubblicato a fine giugno, la portata del Po a partire da ottobre 2020 è diventata inferiore, e in seguito notevolmente inferiore, alla media storica per il mese calcolata sugli ultimi 17 anni.

Con la fine di febbraio la portata del Po è scesa sotto il minimo storico. E’ rimasta tale anche successivamente, salvo un effimero sollievo in aprile-maggio. Tuttavia anche in quel periodo il livello del Po è rimasto al di sotto del 2006, l’anno complessivamente più più siccitoso. Il grafico del Centro Etica Ambiente è qui sotto.

Sempre in febbraio, oltre alla sofferenza del Po era evidente anche che mancavano la pioggia in pianura e soprattutto la neve in montagna: proprio l’assenza di neve ha poi ridotto ad un torrente il maggior fiume italiano.

In marzo si è mossa addirittura la Commissione Europea, pubblicando Drought in northern Italy” (“Siccità in Italia settentrionale”). Lo studio, oltre a fare il punto sulla situazione di allora, si è rivelato profetico rispetto agli sviluppi futuri. Conteneva anche la previsione, basata sui modelli matematici e meteorologici, che le piogge primaverili sarebbero state ben scarse. Gli addetti ai lavori hanno accolto l’informazione con un silenzio tombale.

“Drought in northern Italy” sciorinava i dati sul deficit di precipitazioni, verificatosi in Italia settentrionale a partire dall’autunno 2020; sulla siccità già diventata estrema in buona parte del Piemonte; sullo stress idrico della vegetazione in quasi tutta l’Italia nord occidentale. Metteva in evidenza la mancanza di neve sulle Alpi, la poca acqua presente nella generalità dei bacini montani, la grave sofferenza del Po e la risalita, già allora, del cuneo salino.

Le conseguenti previsioni, centrate in pieno: scarsa produzione di energia idroelettrica, seri problemi per irrigare le colture al loro risveglio vegetativo.

Cosa si poteva fare, in marzo, se queste informazioni fossero state prese sul serio? Magari alcuni agricoltori non avevano ancora acquistato la semente per il mais e il riso, che si seminano da aprile e che hanno un gran bisogno d’acqua: avrebbero avuto modo di cambiare i programmi.

Soprattutto, ci sarebbe stato il tempo per stabilire con calma come usare la poca acqua disponibile, evitando le guerre per l’acqua che ora scoppiano e i cui protagonisti sono ugualmente, disperatamente assetati.

Esempi di guerra dell’acqua sono il conflitto in corso in Lomellina e ciò che è accaduto quando l’Autorità di Bacino ha chiesto di diminuire il prelievo irriguo dal Po. Gli scopi erano salvaguardare l’approvvigionamento idropotabile di Ferrara e contrastare la risalita del cuneo salino. Ma Piemonte e Lombardia gli hanno risposto picche.

Foto in copertina di Francesco Nigro